Too Good To…Waste

Master MaSRA
Domino Gazette
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7 min readFeb 22, 2022

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Critica al moderno sistema di redistribuzione del cibo

Nell’ultimo decennio la lotta allo spreco alimentare sta diventando un tema sempre più dibattuto.

Lo spreco alimentare è da sempre definito in maniera quantitativa, andando a differenziare quanto proveniente dalla parte iniziale della filiera produttiva (food losses) e, quanto derivante dalla distribuzione e dal consumo finale (food waste). La mancata definizione del tema da un punto di vista qualitativo è figlia di una problematica ancor più ampia: la negazione del cibo come bene comune. Questo aspetto è ancora in fase di definizione, in molti però si stanno muovendo per far si che questo avvenga, come nel caso di Slow Food.

Per permettere un’analisi più completa della questione è stato ideato dall’UNEP (United Nation Environment Programme) un indice, il “Food Waste Index”, il quale considera il cibo in ogni sua declinazione (tiene conto anche delle bevande) e le parti non commestibili. Lo scopo dell’indice è quello di calcolare lo spreco alimentare a livello della vendita al dettaglio e di consumo, in modo tale da permettere ai paesi di misurare le perdite di cibo generate nei processi di produzione. Lo studio condotto attraverso il FWI mostra come lo spreco, rallenti il sistema di gestione dei rifiuti ed esasperi l’insicurezza alimentare diventando tra le principali cause del cambiamento climatico, dell’inquinamento e della perdita della biodiversità.

Immagine di una discarica a cielo aperto di cibo sprecato.

Per combattere lo spreco alimentare c’è stata una mobilitazione su più livelli. Dal basso si sono evoluti i movimenti Zero Waste che prevedono il riciclo degli alimenti senza creare alcuno scarto finale e stanno diventando per alcuni un vero e proprio lifestyle. Sono nati diversi negozi che combattono lo spreco alimentare attraverso la vendita di prodotti sfusi e molte associazioni che provvedono al recupero delle eccedenze nei mercati per evitare che queste vengano buttate.

È interessante analizzare il lavoro svolto dalle moderne applicazioni che hanno come obiettivo proprio la lotta allo spreco alimentare. Ogni giorno ne vediamo nascere di nuove, con modalità diverse ma con lo stesso scopo:quello di recuperare l’invenduto all’interno dei negozi di alimentari, supermercati, panetterie, pizzerie e vendendolo a un prezzo minore.
Al momento l’applicazione che sta avendo più successo è Too Good To Go (TGTG). Nata in Danimarca nel 2015, solo in Italia conta 4,8 milioni di “persone che stanno salvando il cibo” e 19.325 bar, ristoranti e negozi di alimentari registrati.

L’applicazione si basa su quattro pilastri: scuola, per sensibilizzare le nuove generazioni, persone alle quali vengono fornite delle tips per diminuire lo spreco, aziende per aumentare la coscienza di chi opera nel comparto agroalimentare, politica, con cui TGTG collabora per riuscire ad ottenere leggi che rendano le etichette più trasparenti e comprensibili per tutti.

Il suo funzionamento è abbastanza semplice. Scaricando l’applicazione hai la possibilità di localizzare la tua posizione e, all’interno di una vera e propria vetrina, scegliere il negozio o ristorante più adatto a te da cui decidere di acquistare una box, all’interno della quale ci saranno alimenti in scadenza o da consumare entro poco. I bar, ad esempio, hanno la possibilità di inserire all’interno delle box brioches o tramezzini invenduti durante la giornata. Il tutto sarà a “scatola chiusa” e a un prezzo stracciato, il più delle box, infatti, costa circa 4,99 euro o per fare l’esempio più pratico della vasca di gelato da un kg può essere portata a casa a 9,99 euro piuttosto che a 30 euro.

Too Good To Go

La mission di Too Good To Go è quella di rendere tutti partecipi alla lotta contro lo spreco alimentare e sicuramente il loro lavoro aiuta ma quello che viene da chiedersi è se davvero è così.

A sostenere che l’applicazione consolidi lo spreco alimentare sono in molti e i motivi sono molteplici.

L’eco-influencer Giorgia Pagliuca aka GGAlaska, in un IGTV spiega quali, dal suo punto di vista, siano le principali controversie. Il primo problema di TGTG (e delle applicazioni simili) è che non va ad intervenire sulla sovrapproduzione, la principale causa dello spreco alimentare, ma funziona da incentivo a produrre di più; secondo alcuni utenti, infatti, diversi ristoranti invece di inserire all’interno della box l’invenduto della giornata preparano sul momento il cibo da inserire all’interno della box. In questo modo l’applicazione fa semplicemente da vetrina per i negozianti che, soprattutto dopo la crisi dovuta al Covid-19, hanno bisogno di aumentare l’affluenza e la vendita. Gli acquirenti sono considerati potenziali clienti che dopo essersi trovati bene la prima volta torneranno anche senza utilizzare l’applicazione e continueranno a produrre scarti rendendo inutile il lavoro svolto fino a quel momento.

Secondo la FAO, Food and Agriculture Organization, circa un terzo del cibo prodotto viene sprecato. Ogni anno vengono gettati dai 95 ai 115 kg di cibo solamente all’interno delle nostre case, causando tra l’8 e il 10% delle emissioni di gas serra su scala globale; se considerassimo anche il cibo perso durante le fasi di produzione, le stime crescerebbero ulteriormente[5]. Tale fenomeno. oltre alla produzione di gas serra, ha diverse altre ricadute a livello ambientale. Iil consumo di acqua, per esempio, sprecata su tutti i livelli, da quello domestico a quello industriale e commerciale. I il consumo di suolo, ogni anno viene ne consumato sempre di più per produrre cibo che andrà sprecato, come spiegato nella prima puntata di #oltreilcibo rubrica di Too Good To Go su Youtube .

#oltreilcibo rubrica di Too Good To Go su Youtube

Un altro aspetto molto importante da sottolineare è che gli utenti non hanno la possibilità di scegliere quali prodotti acquistare, ma ci sarà l’effetto sorpresa una volta tornati a casa.
La cosa potrebbe sembrare un’idea carina ma è fonte di problemi, molti negozi, purtroppo, inseriscono all’interno delle box prodotti scaduti, malandati e immangiabili scaricando tutta la responsabilità sul consumatore finale, il quale, secondo le stime FAO, è quello che causa maggior spreco alimentare. Ogni persona, a livello globale, spreca circa 121 kg di cibo all’anno.

In percentuale l’11% degli scarti deriva dall’ambiente casalingo mentre i ristoranti ne producono il 5%. Oltre questo c’è da considerare che i gusti non sono tutti uguali e che quindi una volta aperta la box parte del cibo potrebbe essere considerato non appetibile dall’utente che andrà nel giro di poco a buttare tutto.

Nonostante le buone intenzioni della start up danese, purtroppo, anche in una realtà del genere i punti critici, anche se pochi, sono molti impattanti. Sarebbe curioso sapere se dopo la vendita hanno interesse a conoscere quale sia la destinazione del cibo o se il loro lavoro “finisce” nel momento dell’acquisto della box da parte dell’utente.

Ripensare il sistema

Il problema è a monte. Esso è sicuramente legato alla scarsa educazione alimentare delle persone e alla mancanza di legislazione.Il primo aspetto è in forte miglioramento, lo spreco in Italia è infatti diminuito del 25% per la prima volta dopo 10 anni.

Gli italiani dichiarano che l’attenzione posta alla spesa sta cambiando, si sta iniziando infatti a preferire l’acquisto più frequente di prodotti freschi e l’organizzazione della spesa viene fatta in base al menù settimanale. A livello legislativo purtroppo è difficile poter pensare di regolamentare lo spreco nelle case, a meno che, non si pensi a un sistema in stile orwelliano.

Un passo in avanti è stato comunque fatto dal 2016 con l’entrata in vigore della Legge Gadda (legge anti-spreco 166/16), contro lo spreco alimentare[10]. Marco Lucchini — Segretario generale del Banco Alimentare — dichiara “Il provvedimento riorganizza il quadro normativo di riferimento che regola le donazioni degli alimenti invenduti con misure di semplificazione, armonizzazione e incentivazione…”

L’Italia diventa così il primo Paese ad approvare una legge con un approccio strategico al problema dello spreco alimentare. La legge Gadda si inserisce in un contesto più ampio, quello globale (oltre che europeo), con il raggiungimento entro il 2030 dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (SDGs) 12.3 “Entro il 2030, dimezzare lo spreco pro capite globale di rifiuti alimentari nella vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo lungo le filiere di produzione e fornitura, comprese le perdite post-raccolto”.

L’obiettivo è quello di ridurre gli sprechi lungo tutta la filiera, favorendo il recupero e la donazione delle eccedenze da parte delle organizzazioni no profit. La distorsione derivante da queste applicazioni proviene dall’incentivo ai negozi di cedere l’invenduto a degli utenti che potrebbero comunque acquistare gli stessi prodotti a qualche centesimo in più, mentre chi ha davvero bisogno resta escluso da questo processo.

Lo spreco alimentare contribuisce all’aumento della povertà alimentare. Quel cibo che viene scartato, perso, buttato potrebbe essere usato da persone che soffrono la fame, che solo in Italia, secondo le stime Coldiretti 2018, sono 2,7 milioni. Dato costantemente in crescita a causa della crisi pandemica.

Bisogna creare dei sistemi alimentari a basso impatto, sani e resilienti ma per farlo si dovrebbe, innanzitutto, ripensare il sistema economico vigente, creare delle riforme che permettano a più persone possibili di accedere al cibo in modo più facile e creare dei sistemi di redistribuzione dell’invenduto che guardino ai più bisognosi e non solo al profitto di pochi.

Il terzo settore opera già in questo senso, ci sono moltissime associazioni no profit che si occupano di redistribuzione di cibo invenduto e di sviluppo di programmi volti al recupero di quest’ ultimo. , Non bastano le azioni dal basso, devono essere presi provvedimenti decisive anche dall’alto.

Nel frattempo, nel nostro piccolo, tutti noi possiamo attuare buone pratiche di consumo, diminuendo il più possibile lo spreco alimentare, organizzando la nostra spesa, cercando di creare meno scarti possibili, preferendo la spesa sfusa a quella confezionata e chiedendoci se è questo il mondo che vogliamo per il nostro futuro.

Valeria Isernia

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

Slow Food, Verso una definizione “qualitativa” dello spreco: http://assets.fsnforumhlpe.fao.org.s3-eu-west-1.amazonaws.com/public/files/Food_losses_waste/3_SF_Verso%20una%20definizione%20qualitativa%20dello%20spreco%20(2).pdf

United Nations Environment Programme (2021). Food Waste Index Report 2021. Nairobi.

Contenuto multimediale 1: https://www.instagram.com/tv/CO954_uISVw/?utm_medium=copy_link

Slow Food, Documento di posizione sulle perdite e sugli sprechi, Bra: https://www.slowfood.com/wp-content/uploads/2021/01/ITA_position_paper_foodwaste.pdf

Contenuto multimediale 2: https://www.youtube.com/watch?v=VclZwgAS2MM

Contenuto multimediale 3: https://www.youtube.com/watch?v=VclZwgAS2MM

United Nations Environment Programme (2021). Food Waste Index Report 2021. Nairobi.

Fine dining lovers: https://www.finedininglovers.it/articolo/spreco-alimentare-in-italia

Waste Watcher Observatory, Università di Bologna, 2021: https://www.sprecozero.it/uncategorized/waste-watcher-cross-country-ita/

Coldiretti, Giornata internazionale, la mappa della fame in Italia: https://www.coldiretti.it/eco

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Master MaSRA
Domino Gazette

Master in Sostenibilità Socio-Ambientale delle Reti Agro-Alimentari dell’Università degli Studi di Torino