Oltre la costa

Master MaSRA
Domino Gazette
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12 min readFeb 11, 2022

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Criticità e rinascita dell’entroterra ligure

Il mare, le Alpi, gli Appennini. La Liguria è una sottile striscia di terra in cui non convivono solo tre diversi climi, ma anche stili di vita eterogenei. Oltre la costa, caratterizzata dalle giornate temperate, dalla bouganville che decora ogni muro e dal profumo di erbe aromatiche, c’è un mondo che rappresenta al meglio la bellezza contraddittoria e ricca di risorse della regione: l’entroterra.

Laghi del Gorzente, Parco naturale capanne di Marcarolo

L’entroterra ligure si estende dalle Alpi Marittime di Ponente agli Appennini di Levante, facendo da cornice al golfo sul Mediterraneo. Si tratta di una terra aspra, composta di valli strette e impervie la cui conformazione e posizione geografica rendono difficile la vita di chi la abita e conduce sul territorio le proprie attività produttive.

La sua morfologia variegata racchiude un alto tasso di biodiversità che potrebbe costituire una risorsa economica per le nuove propensioni del turismo sostenibile e di nicchia. Per capire come valorizzare l’entroterra e invertire la tendenza ad abbandonare il territorio e ad trascurare la sua complessità, dobbiamo osservare i suoi punti critici e individuare quali elementi di forza portare alla luce.

Una regione che scivola via

Il dissesto idrogeologico è forse l’esempio più noto della difficile convivenza tra l’uomo e l’entroterra ligure. È un fenomeno dovuto a una fragilità naturale intrinseca nel terreno stesso, ma che ben dimostra come l’intervento umano possa essere tanto utile quanto dannoso.

La conformazione morfologica e geologica della Liguria non lascia spazio a particolare ottimismo: il terreno è propenso a scivolare e franare, specialmente nei periodi di forte pioggia. Anche se l’abbandono della regione non dipende direttamente da questo, capire perché la Liguria si stia sgretolando è un ottimo punto da cui partire per riflettere sul delicato rapporto tra intervento umano e attività naturale delle valli.

Osservando i dati si scopre qualcosa di interessante: il cambiamento climatico non ha aumentato la quantità delle piogge, ma le ha concentrate in periodi più brevi e violenti che non lasciano tempo al terreno di assorbire e far defluire l’acqua. Le piogge tempestive e torrenziali hanno trovato gioco facile in un terreno che è prima stato cementificato senza attenzione e poi abbandonato, rendendo ancora più precarie le condizioni dell’assetto territoriale.

L’assenza di terreni coltivati e di pascoli, l’abbandono delle sistemazioni agro-forestali, gli interventi idraulici di tipo intensivo ed estensivo in alveo dei torrenti montani con scarsa manutenzione, così come i danni causati al patrimonio forestale dai ripetuti incendi boschivi, concorrono a favorire l’erosione dei versanti collinari o montani e ad aumentare il rischio di alluvione.

Per lungo tempo, lo scorretto uso del suolo e l’eccessiva impermeabilizzazione in luoghi ad alta presenza di corsi d’acqua non hanno permesso di farli defluire normalmente, soprattutto in occasione di eventi meteorologici fuori dal comune. Per questo motivo sono molto importanti le normative in materia di tutela delle aree di pertinenza dei corsi d’acqua, come distanziare dai torrenti le costruzioni di nuovi edifici.

I boschi e i prati riconquistano indisturbati gli spazi che l’uomo si era ricavato e spingono la fauna selvatica a una convivenza sempre più scomoda con il numero decrescente di persone che scelgono di rimanere

Tenere la terra

Il dissesto idrogeologico non è dunque l’unico fattore determinante, ad influire sull’abbandono del territorio. Il ciclo di disinteresse, la difficoltà abitativa e le infrastrutture invasive concorrono a una regione sempre più desolata ed erosa. Quali sono gli elementi chiave che aiuterebbero tanto a preservare l’ambiente quanto il tessuto sociale e lavorativo delle valli liguri?

Molti dei fattori che incidono sulle cause del dissesto idrogeologico sono naturali e inevitabili, tuttavia quelli su cui si potrebbe intervenire non mancano. Sebbene la superficie della Liguria sia occupata principalmente da boschi, il 2,1% adibito a pascolo forma una risorsa importante per l’integrità della regione. Nell’ambito del tirocinio che ho svolto presso Regione Liguria, mi sono occupata in particolare delle produzioni zootecniche dell’entroterra. La regione non produce volumi elevati,ma c’è un’antica tradizione di allevamento al pascolo che viene portata avanti, fondamentale anche per la tutela di alcune razze autoctone.

I pascoli aiutano a conservare la qualità dell’ambiente, a prevenire e limitare il rischio di incendi e favorire la biodiversità di specie animali e vegetali. Salvaguardare gli elementi rurali è complesso, ma significa mantenere un contatto con l’ambiente e i suoi bisogni, sviluppando al contempo i flussi turistici e le opportunità lavorative per gli abitanti.

Nel precario equilibrio per mantenere le attività produttive in queste aree di confine, talvolta si inseriscono dei fattori difficilmente controllabili e che portano importanti ripercussioni economiche su un sistema già fragile. E’ il caso della recente comparsa della Peste Suina Africana (PSA) nelle zone a confine tra Piemonte e Liguria nei primi giorni di gennaio. La PSA è una malattia infettiva ad alto livello di contagiosità che provoca la morte sia di suini selvatici che domestici (Circolare 18/01/2022, Ministero della salute). La malattia non è trasmissibile all’uomo, pertanto non è pericolosa per le persone. Ma considerando la complessità della situazione e le problematiche a cui si andrebbe incontro qualora l’epidemia si dovesse diffonder, è stata emanata un’ordinanza che limita l’accesso a sentieri e boschi in 118 comuni compresi in una zona rossa, tra Liguria e Piemonte, per limitare la diffusione del virus (Ordinanza Ministeriale del 13/01/2022). Successivamente, con l’Ordinanza n.4/2022, la Regione Liguria ha stabilito che nella zona infetta debbano essere abbattuti tutti i suini di allevamenti bradi e semibradi, degli allevamenti familiari per autoconsumo e negli allevamenti di tipo commerciale.

Per alcuni comuni dell’entroterra, che rientrano nella zona rossa, questa situazione è insostenibile perché rappresenta, oltre alla una considerevole perdita economica, un ulteriore ostacolo alla crescita del territorio. Considerata la gravità della situazione, è molto importante rispettare le indicazioni date dalle autorità competenti, ma, a mio avviso è necessario trovare delle soluzioni che possanno allentare le tensioni.

Nonostante le difficoltà non sono tardate ad arrivare anche reazioni propositive da parte di Enti che operano nell’area.

Una delle proposte arriva dal Geoparco del Beigua, una delle zone più colpite dall’ordinanza in quanto buona parte dei comuni che comprende fanno parte della zona rossa. Il Parco sta provando a trasformare la minaccia in opportunità, soprattutto sul lungo termine. Una delle idee proposte è quella di inserire, in futuro, il comprensorio del Geoparco nel contesto internazionale della Carta Europea del Turismo Sostenibile, in modo tale da favorire il rilancio del turismo sostenibile su nuovi mercati. L’intento è dunque quello di promuovere lo sviluppo di una politica di marketing, a livello regionale, per rimediare all’inevitabile danno di immagine che sta causando e causerà la notizia della diffusione della PSA.

Il Parco propone, inoltre, di utilizzare questa occasione sfavorevole per trasmettere l’importante messaggio che è necessario cambiare modelli produttivi, tutelare il territorio e le sue produzioni di qualità, piuttosto che incentivare la quantità. Un modello di cui il territorio del Beigua e l’entroterra in generale potrebbero diventare un esempio di eccellenza

Vale la pena?

Viste le condizioni descritte è naturale chiedersi se l’entroterra ligure abbia speranza o sia tanto inospitale da non meritare sforzi ulteriori da parte della comunità a vivere questi luoghi. La realtà è quella di un luogo in profonda connessione con la natura che fa da cornice all’ambiente mediterraneo ed è capace di generare ricchezza inaspettata.

A dimostrarlo sono le numerose aree protette della regione. Tra queste il Parco Naturale Regionale del Beigua, la più vasta area protetta della Liguria. Esso custodisce la sua storia e il suo patrimonio geologico, per il quale è stato riconosciuto come sito Unesco ed inserito nella rete mondiale dei geoparchi.

Dalla parte opposta, in Val Graveglia, si trovano le Miniere di Gambatesa, la più grande miniera di manganese d’Europa, che testimoniano la storia industriale della regione e rappresentano un’importante attrazione turistica sin dagli anni novanta, quando era possibile visitarle ancora attive.

Dal punto di vista faunistico, i parchi naturali ospitano diverse specie selvatiche. Nel Parco dell’Aveto, vive un gruppo di cavalli selvaggi, che vivono liberi tra pascoli e faggete, alcuni di loro senza alcun contatto con l’uomo.

Cavalli selvaggi nel Parco dell’Aveto con monte Penna sullo sfondo.

Sia in Val D’Aveto che nel comprensorio dell’Antola e nelle Alpi Liguri, da alcuni anni, si è assistito al ritorno del lupo. Scomparso a causa della caccia indiscriminata nella prima metà del 1900, è tornato in maniera autonoma dal centro Italia, passando per l’Appennino Tosco-Emiliano. Nel Parco del Beigua, sulle colline sopra Varazze, è possibile osservare i bianconi, grossi rapaci diurni che agli inizi della primavera migrano dall’Africa occidentale per riprodursi nei boschi.

Il clima variegato permette lo sviluppo di diverse specie vegetali: genziana ligure, rododendro e narcisi sui versanti alpini, orchidee, timo, fichi d’india su quelli costieri. Per quanto riguarda il bosco sono molto diffusi e tipici i lariceti, le faggete e i castagneti.

Come abbiamo già accennato in precedenza, le aziende agricole hanno il merito di preservare gli insediamenti umani e di equilibrare il rapporto tra la vegetazione selvatica e quella adibita a pascolo e coltivazione. Un compito reso più difficile dalla scarsa superficie a disposizione. Alcuni allevamenti si prendono anche cura di alcune razze autoctone tutelate da presidi Slow Food: la mucca Cabannina, bruna e robusta e la pecora Brigasca originaria della Val Roya. Sono animali rustici che amano stare all’aperto e camminare molto, tutte caratteristiche che le rendono perfette per i pascoli liguri.

Le cause degli insuccessi dell’entroterra, però, non vanno ricercate solo nel calo demografico e nell’orografia ostica. Nonostante sia la regione più anziana d’Italia, la Liguria soffre di un dialogo disomogeneo tra istituzioni e attività produttive che limita fortemente le potenzialità turistiche e naturali del luogo.

Andare a vedere

Ragionare con chi abita il territorio è utilissimo per avere un punto di vista interno che ci aiuta a immaginare in che modo le istituzioni possano favorire interventi pensati per il contesto locale, dove le politiche europee non sembrano sortire gli effetti sperati.

Gianluigi Puie, presidente del Consorzio per l’Ospitalità diffusa delle valli Aveto, Graveglia e Sturla collabora quotidianamente con agricoltori, allevatori e abitanti delle valli per mettere in atto azioni che valorizzino i loro prodotti e favoriscano lo sviluppo economico locale. È durante da un’intervista con lui che arriviamo a pensare che le misure nazionali ed europee potrebbero non essere adatte a queste terre. Per accedere ai bandi sono necessari progetti complessi pensati per territori su cui è più facile operare e quindi irrealistici se applicati all’entroterra ligure.

Gianluigi sostiene che “il modo migliore per valorizzare l’entroterra non risiede in azioni di finanziamento ed espansione delle singole attività”.

Il problema di fondo, infatti, è che l’assegnamento di terreni e di fondi non si traduce in una resa proporzionale proprio per le caratteristiche difficili del terreno. Serve un diverso tipo di incentivo che concentri ed elevi al massimo il potenziale delle produzioni nella dimensione attuale, continua dicendo che “è necessario introdurre azioni concrete, con obiettivi e budget precisi, per incentivare anche i giovani al recupero delle terre”.

In quest’ottica potrebbe rivelarsi efficace — e senza dubbio necessario — portare le persone a visitare l’entroterra e a conoscere i suoi prodotti. Esportare è importante, ma non consente di capire che anche solo riuscire a vivere e far fruttare l’entroterra ligure è tanto una sfida quanto fondamentale per la tutela dei terreni e dei servizi ecosistemici.

Si tratta di una presa di coscienza che riguarda anche chi abita già le valli e i produttori stessi, spesso ignari del valore e delle abilità che impiegano ogni giorno per tenere vivo e produttivo il loro territorio. Serve una narrazione collettiva su più fronti in grado di generare senso di comunità, appartenenza e riconoscimento. Creare rete tra le associazioni, gli enti, i produttori, gli allevatori, le strutture ricettive e gli abitanti per riuscire a mettere in atto azioni concrete che possano davvero contribuire allo sviluppo socio-economico di queste zone.

Un esempio virtuoso e che si è dimostrato efficace è il Biodistretto della Val di Vara, nel levante ligure, che è stato istituito nel 2013 e comprende il territorio di 7 comuni (Carro, Carrodano, Maissana, Rocchetta di Vara, Sesta Godano, Varese Ligure e Zignago). Le attività agricole e zootecniche sono state convertite al biologico (oltre il 55% del territorio è certificato biologico). Le aziende conferiscono a due cooperative, una per la filiera carne e una per la filiera latte, che si occupano della distribuzione, presso i negozi e alcuni ristoranti soci del Biodistretto. La messa in rete delle aziende ha permesso di realizzare azioni che i singoli non avrebbero potuto fare, si è creata sinergia e comunicazione.

La gestione ecosostenibile delle risorse del territorio è utile per preservare sia l’ambiente naturale sia le tradizioni locali e mantenere le attività produttive.

Cosa fanno le istituzioni?

Tra le azioni che vengono proposte dalla regione e dai comuni, particolare attenzione va posta ai progetti Interreg. Si tratta di progetti transfrontalieri che coinvolgono diverse regioni appartenenti a stati diversi, ma con caratteristiche territoriali e morfologiche simili.

Uno di questi è il progetto “CAMBIO VIA” (CAMmini e BIOdiversità: Valorizzazione Itinerari e Accessibilità per la Transumanza. https://youtu.be/MWylBbZre7U) a cui ho collaborato attraverso il tirocinio presso Regione Liguria. Cambio Via si pone l’obiettivo di migliorare l’efficacia delle azioni pubbliche nel tutelare, promuovere e sviluppare il patrimonio naturale e culturale rappresentato da parchi naturali, aree protette e siti storici lungo gli itinerari una volta battuti dalla transumanza.

L’idea è quella di creare un nuovo modello di rete ambientale, dove viene riconosciuto alle aziende e ai prodotti che realizzano non solo un valore economico, ma anche culturale, di tutela della biodiversità e creazione di servizi ecosistemici.

La creazione di un’offerta di prodotti dall’elevato valore e qualità ambientali viene messa in pratica con alcune azioni concrete, come la realizzazione dell’Etichetta Olè (Oltre l’etichetta) per i prodotti che vengono realizzati nelle aree come l’entroterra. La mia attività all’interno del progetto si basa su interviste telefoniche con gli allevatori e produttori dell’entroterra, in cui chiedo loro di raccontare l’attività in funzione del legame con il territorio, la biodiversità, la sostenibilità ambientale. L’etichetta diventa strumento per attestare la qualità e valorizzare i prodotti e le aziende, che rappresentano la loro sostenibilità e costituiscono un patrimonio materiale e immateriale.

Grazie a questi strumenti e progetti è possibile creare un legame tra le attività produttive e le istituzioni. Fare visita e intervistare i produttori è necessario anche per far comprendere loro il valore e l’importanza delle loro attività e di come comunicare verso l’esterno, elementi fondamentali per potenziare ed ampliare l’attività produttiva e che spesso non vengono percepiti a priori.

Tirare le somme

Dopo aver analizzato le cause del suo deterioramento, i fattori capaci di agire un cambiamento e i punti di forza da valorizzare, è necessario fare alcune considerazioni per ipotizzare alcune soluzioni e delle prospettive di sviluppo efficaci.

Le quantità di prodotto realizzate sono ridotte e non potrebbero adeguarsi ai volumi necessari per accedere alla GDO. Ritengo che per valorizzare le produzioni locali, mantenendo le dimensioni attuali, uno strumento efficace potrebbero essere i Presidi Slow Food che tutelano i prodotti di un territorio oppure le certificazioni o marchi che attestino la qualità e il valore come quelle proposte dai parchi o dalla regione.

Per contrastare lo spopolamento e l’abbandono dell’entroterra, soprattutto da parte dei giovani, è necessario dare incentivi per il recupero dei terreni. L’operazione deve poter essere misurabile e realistica: definire un budget, degli obiettivi specifici, monitorare i risultati in itinere e monitorare che vengano realizzate azioni dall’impatto effettivo.

Per poter realizzare alcune proposte e rilanciare le attività agricole è fondamentale che vengano programmate attività di manutenzione, la messa in sicurezza delle strade e il miglioramento dell’efficienza energetica.

Grazie ad un miglioramento delle reti internet in modo che siano disponibili, affidabili e ben distribuite, si potrebbero creare dei progetti interessanti per coinvolgere chi lavora in smart working. Questo aiuterebbe a ripopolare le borgate, inizialmente anche solo per alcuni mesi dell’anno in cui sono raggiungibili.

In ultima analisi, abbiamo capito che le soluzioni per l’entroterra ligure devono essere personalizzate. Ogni territorio ha la sua peculiarità per la quale va conosciuto e studiato, soprattutto attraverso chi vive e lavora direttamente a contatto con esso. Il dialogo tra gli abitanti e le istituzioni trova maggiore efficacia se viene mediato dai parchi naturali, che svolgono un ruolo fondamentale di connessione tra le aree interne e le pubbliche amministrazioni.

L’entroterra ligure ha certamente delle caratteristiche particolari e delle difficoltà che non si possono ignorare. Tuttavia, e forse anche per questa sua durezza e tenacia, è un luogo da tutelare e valorizzare. Se c’è un modo per conoscere e capire davvero cosa riserva, è certamente andarlo a visitare in prima persona e capire l’impegno e la soddisfazione che chiede e regala a chi lo vive e lo attraversa.

Sofia Bodra

Sofia Bodra, 25 Anni, laureata magistrale in economi, lavora in una cooperativa sociale nell’ambito del recupero e riutilizzo rifiuti. Nonostante gli studi economici standard è sempre stata interessata a modelli di sviluppo alternativi, consapevole del fatto che il cambiamento deve partire dai sistemi alimentari, il master è stata l’occasione per conoscerli meglio.

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Master MaSRA
Domino Gazette

Master in Sostenibilità Socio-Ambientale delle Reti Agro-Alimentari dell’Università degli Studi di Torino