Nate sotto il nome di Winzergenossenschaft

La storia di una delle cantine sociali più longeve d’Italia

Master MaSRA
Domino Gazette

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Le prime cantine sociali nascono nel XIX secolo in Germania, con il nome di Winzergenossenschaft, per volontà di un gruppo di vignaioli tedeschi, che si associano con l’obiettivo di produrre il vino sotto un’unica etichetta, conferendo ciascuno le sue uve.

Non passa molto tempo che anche in Italia compare la prima cantina sociale, a Oleggio in Piemonte nel 1891. Questo modello di azienda viticola si diffonde velocemente lungo tutto lo stivale, in quanto comporta diversi vantaggi per i viticoltori: permette di accedere ad attrezzature e canali di commercializzazione anche a chi non ha importanti risorse economiche. Allo stesso tempo la cooperativa mette a disposizione dei suoi soci il supporto di figure tecniche come quella dell’agronomo e dell’enologo, che possono supportare le singole realtà anche nella fase produttiva.

Le cantine sociali in Italia si costituiscono giuridicamente come cooperative, ovvero società basate sul principio della mutualità. Deliberano uno statuto che i soci sono tenuti a rispettare e, nella maggior parte dei casi, viene chiesto ai viticoltori di conferire la quasi totalità delle uve prodotte, per evitare che i singoli produttori tengano per sé le uve migliori. È una richiesta, mediante cui si sollecitano i soci a credere nel progetto nella sua totalità per far si che funzioni.

È un modello produttivo che in Italia ha potuto affermarsi con il passare anni. Nell’immaginario comune fino a qualche anno fa, alle cantine sociali veniva data un’importanza secondaria rispetto alle grandi etichette, tuttavia dobbiamo riconoscere che tale percezione sta cambiando.

In Italia possiamo vantare diverse realtà virtuose e, a dimostrarlo sono i numeri. Oggi le cooperative lavorano quasi il 58% delle uve e contribuiscono al 44% del fatturato dell’industria del vino, un terzo del quale commercializzato all’estero. Il merito è di realtà come la Cantina Vinchio Vaglio, che da anni lavora per essere un’eccellenza del settore vitivinicolo italiano.

La Cantina Vinchio Vaglio, situata nell’alto Monferrato, è un punto di riferimento importante per il territorio dal 1959. Fondata da 19 soci, oggi la cooperativa è costituita da 192 viticoltori familiari, per un totale di 470 ettari vitati. Il 70% circa della produzione è prevalentemente a Barbera e ad altri vitigni autoctoni piemontesi come Nebbiolo, Dolcetto, Ruché, Albarossa, Grignolino, Arneis, Cortese, Moscato e Brachetto. Vinchio Vaglio può contare su un fatturato di circa 10 milioni di euro, il 40% arriva dall’Horeca, il 20% dalla vendita diretta e il 10% dalla grande distribuzione. Una realtà in costante crescita che ha saputo adattarsi nel tempo all’evolversi della filiera, senza mai rinunciare al suo più grande intento: rappresentare, valorizzare e proteggere il territorio.

Lo stretto rapporto con il territorio è un aspetto che caratterizza la Cooperativa sin dalla sua nascita. Lo statuto vuole che il Presidente e il Vice Presidente siano uno di Vinchio e uno di Vaglio Serra, con l’intento di rappresentare a pieno il territorio, ma anche a testimonianza di una antica rivalità tra i due comuni limitrofi. Una rivalità che anche grazie alla cooperativa, si è trasformata negli anni in un saldo rapporto collaborativo.

La cantina collabora da diversi anni con il DISAFA dell’Università di Torino e noi con il Master abbiamo avuto il piacere di andare a fargli visita. L’ospitalità è stata impeccabile: abbiamo visitato la cantina accompagnati da Tessa Donnadieu, export manager di Vinchio Vaglio; ci siamo confrontati con l’enologo Matteo Laiolo, e abbiamo potuto fruire del nuovo percorso naturalistico dei Nidi. La Cooperativa ha da poco acquistato una porzione di bosco attigua alla cantina e confinante con la Riserva Naturale della Val Sarmassa, ripristinando il vecchio sentiero e creando un percorso che permette di passeggiare e degustare un buon bicchiere di vino al fresco del bosco.

La classe del Master lungo il percorso dei Nidi

La storia del progetto dei Nidi ci è stata raccontata dal Presidente Lorenzo Giordano. Un uomo dinamico, memoria storica della Cantina, a cui sicuramente non manca l’ingegno. Inutile dire che ha stregato tutti con i suoi racconti.

Lorenzo Giordano, Presidente di Vinchio Vaglio

Sulla via del ritorno, abbiamo approfittato della gentilezza di Tessa, per farle alcune domande:

Quali sono stati gli eventi che hanno portato la Cantina ad essere una realtà consolidata del territorio?

Ci sono stati diversi momenti fondamentali nella storia della Cooperativa, a partire dalla sua fondazione nel 1959. All’inizio degli anni sessanta c’era uno squilibrio sul mercato tra compratori e venditori. Erano i compratori a fissare il prezzo di mercato, e chi vendeva le uve e il vino non aveva la forza per poter contrattare. La cooperativa è nata in questo contesto con la volontà di creare uno strumento produttivo che permettesse a più produttori di unire le forze e avere un proprio marchio. Con il progetto “vigne vecchie” del 1987 invece è avvenuta la svolta qualitativa dell’azienda, erano gli anni dello scandalo del metanolo, e la Cooperativa tramite il progetto ha voluto esplicitare la sua posizione, puntando sulla qualità.

In passato la maggior parte dei vini di Barbera erano disarmonici in termini di acidità, alcolicità e colore perché c’era una politica di quantità piuttosto che di qualità. Vinchio Vaglio ha avuto la lungimiranza di iniziare, più di 40 anni fa, alcuni interessanti progetti di qualità come Vigne Vecchie dove l’idea era quella di mappare le viti più vecchie di oltre 50 anni per creare una cuvée unica.

Grazie allo stretto lavoro tra enologi/agronomi e viticoltori e ai terreni favorevoli dove l’uva esprimeva tutto il suo potenziale, alla tecnologia e alla gestione della qualità, la cooperativa è riuscita ad ottenere vini equilibrati, bevibili ed eccezionali, diventando il punto di riferimento per la Barbera d’Asti.

Ed in anni più recenti?

Sicuramente nei primi decenni sono state prese decisioni importanti, che hanno dato una direzione alla Cooperativa, ma anche gli ultimi vent’anni sono stati altrettanto fondamentali.

Quando Lorenzo Giordano è diventato Presidente era il 2001 e, anche se era una personalità che collaborava già da tantissimi anni sia con la Cooperativa che con il territorio, ha sicuramente portato nuove energie all’organizzazione, introducendo alcune novità: una nuova figura incaricata di occuparsi di sviluppare la rete commerciale, nuovi prodotti, e la prima annata di “Sei Vigne Insynthesis”, un vino prodotto a partire da uve 100% Barbera ed affinato in barrique francesi.

Nel 2009 per il 50° dell’azienda invece è stata inaugurata la nuova linea di imbottigliamento meccanizzata e abbiamo investito sull’attrezzatura, in modo tale da efficientare la produzione.

La linea di produzione di Vinchio Vaglio

Infine il 2021 è stato un anno difficile, ma comunque molto importante. Ci siamo dovuti adattare e abbiamo dovuto capire come fronteggiare la situazione. Da una parte abbiamo investito sulla comunicazione aziendale, aggiornato il brand, rinnovato le etichette, e sviluppato un nuovo packaging lavorando sulla commercializzazione dei bag-in-box, senza però rinunciare alla qualità del vino. Dall’altra abbiamo voluto investire sul nostro territorio sviluppando il percorso dei Nidi.

Qual è il rapporto tra l’azienda e i coltivatori?

Siamo in costante rapporto con i viticoltori. Lavoriamo insieme tutto l’anno in quanto seguiamo la produzione dalla potatura ai trattamenti, se necessari, alla selezione delle uve prima della vendemmia, ma anche per la definizione del calendario di raccolta. Grazie al laboratorio interno alla cooperativa riusciamo a valutare la qualità delle uve per organizzare al meglio il processo di vinificazione.

Il più grande patrimonio di una cooperativa sono i vigneti. L’ampiezza di questo patrimonio permette di selezionare i migliori vigneti, delle migliori zone per produrre vini eccezionali e con un buon rapporto qualità/prezzo.

Qual’ è, secondo te, la caratteristica vincente della Cooperativa?

Siamo ancora un’azienda famigliare, e allo stesso tempo una grande comunità. Abbiamo investito in progetti qualitativi in periodo strategici, che hanno voluto lanciare un messaggio specifico di come la Cooperativa si posiziona rispetto determinate tematiche. Negli anni la rete commerciale ha permesso una diffusione importante dei prodotti. Abbiamo lavorato per creare dei legami diretti con i nostri clienti, vogliamo essere vicini alle persone, ed essere un punto di riferimento per il territorio, cercando di eliminare il più possibile gli intermediari. Tutto questo è stato apprezzato dalla nostra utenza. Abbiamo potuto vedere tornare indietro tutti gli investimenti fatti tramite una grandissima partecipazione delle persone alle nostre attività, anche in un anno difficile come questo, abbiamo sentito la comunità vicina, ed è stata una soddisfazione davvero grande.

Quindi come riassumeresti la vostra mission aziendale?

Come dice sempre il Presidente: “poter continuare a rappresentare un valore per il nostro territorio”.

Per concludere, quale sfida vi attende per il futuro?

L’obiettivo è quello di rimanere coerenti con la nostra mission, e continuare a lavorare per la comunità. Vorremmo continuare a consolidare sempre di più il marchio in loco, ma anche ampliare i nostri orizzonti. Non nascondiamo che ci piacerebbe incrementare molto il rapporto con il mercato estero: ad oggi l’85% è domestico, e solo il 15% è estero. Abbiamo ancora molto margine di crescita, e sicuramente tanta voglia di fare!

Chiara Ghisalberti,

Tutor MaSRA

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Master MaSRA
Domino Gazette

Master in Sostenibilità Socio-Ambientale delle Reti Agro-Alimentari dell’Università degli Studi di Torino