Cibo degli Dei

Master MaSRA
Domino Gazette
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11 min readJun 14, 2023

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Non solo biodiversità a rischio, anche alimenti come il cioccolato potrebbero estinguersi in futuro

Sei a Torino, è pieno inverno. L’aria fredda che pizzica sul naso è pervasa di odori, ma uno fra tutti spicca per il suo aroma inconfondibile: l’avvolgente profumo di una cioccolata calda. Da Nord a Sud dell’iconico stivale, dal gianduiotto a quello di Modica, tutti quanti hanno almeno una volta peccato di gola mangiando il cioccolato. Che sia bianco o nero non importa, tutti lo vogliono e tutti lo cercano!

Il cioccolato è una delle prelibatezze più popolari al mondo ma non bisogna guardare troppo lontano prima di scoprire che l’industria del cioccolato stessa è tutt’altro che dolce. Nell’ultimo Salon du Chocolat di Milano, sono stati resi noti alcuni dati di Euromonitor International secondo cui ogni abitante italiano mangia in media fino a 4 kg di cioccolato all’anno, si tratta di circa 11 grammi al giorno (la metà rispetto alla dieta di altri Paesi europei) per un valore economico del mercato italiano di 2,5 miliardi di euro l’anno. Ma c’è anche un altro cioccolato made in Italy che va alla grande: quello esportato nel resto del mondo. L’export del cioccolato italiano ha raggiunto i 665 milioni di euro, il 6,1% del mercato mondiale ponendoci al quinto posto tra i paesi europei nell’export del cibo degli dei. Tra le aziende del cioccolato più famose al mondo abbiamo un gigante come la Ferrero da 8 miliardi di fatturato l’anno.

Negli altri Paesi occidentali il mercato del cioccolato è sempre più in crescita e rimangono ben lontani dai nostri consumi gli inglesi e svizzeri che si piazzano nei primi posti della classifica con più di 8 Kg pro-capite l’anno.

Negli anni però è aumentata la spesa complessiva relativa all’approvvigionamento delle materie prime (in Europa del 2%, negli Stati Uniti del 4%). In poche parole: il cioccolato è più caro rispetto a qualche anno fa. Le stime ICCO (Organizzazione internazionale del cacao) indicano che dal 2020 ha cominciato ad esserci un deficit dell’offerta di cacao rispetto alla domanda. I mercati internazionali hanno risposto con un aumento del prezzo del cacao, segno di una forte speculazione su questo prodotto.

La materia prima per la piccola e grande distribuzione, ovvero la fava di cacao, arriva principalmente dal Costa d’Avorio e Ghana (rispettivamente circa 2 milioni e 900 mila tonnellate nel 2015), che insieme coprono quasi il 60% della produzione mondiale e con il loro cacao vengono prodotti soprattutto cioccolati da copertura mentre, quelli più aromatici, provenienti da Venezuela, Ecuador, Colombia e Perù (il 7% del cacao mondiale) sono più utilizzati per tavolette, praline e cioccolatini di alto pregio.

Ma quindi qual è l’impatto del cioccolato nel mondo?

1) Dal punto di vista economico: Dietro un alimento comune come il cioccolato di cui tanti godono, si cela una filiera globale che attraversa paesi e continenti. Poiché il consumo continua ad aumentare su base annua, diventa più difficile per il settore tenere il passo con la domanda. Il mercato mondiale del cacao include esportazioni per un valore di oltre 1,5 miliardi di euro dalla Costa d’Avorio, 900 milioni dall’Indonesia e 65 milioni dal Ghana (i tre paesi che ne producono di più). Inoltre, più di 2.000 aziende nell’Unione Europea fanno parte dell’industria del cioccolato e dei prodotti dolciari per cui questo specifico settore merceologico funge da importante motore economico.

Nel mondo si spendono circa 116 miliardi di euro in cacao e derivati, di questi quasi 30 soltanto in tavolette di cioccolato (per di più al latte), con una crescita dei consumi del 12% nel periodo 2012–2016. E se nel periodo 2013–2015 la produzione annua a livello mondiale è calata del 5%, a fine 2016 ha ripreso a crescere per segnare il record di 4 milioni di tonnellate.

2) Dal punto di vista sociale: Molti non sanno che un prodotto come il cioccolato nasce dai semi della pianta di cacao (Theobroma cacao, L.); le fave, prelevate dalle cabosse (frutti dal colore molto intenso simili a palloni da rugby), per poter essere trasportate in altri paesi devono essere lavorate seguendo un primo step di fermentazione ed essiccazione presso i punti di raccolta.

Molti agricoltori che coltivano il cacao hanno un tenore di vita molto basso e non godono di diritti che riteniamo fondamentali quali l’educazione alimentare e un salario minimo per mantenere un alloggio e le proprie famiglie.

Si consideri che uno stipendio medio di un agricoltore in Costa d’Avorio è meno di 1 euro al giorno (la soglia di povertà stabilita dalla World Bank nel 2016 è di 1,98€ per giorno). A peggiorare le cose negli ultimi anni è stato il prezzo del cacao che è crollato spingendo ulteriormente molti coltivatori nella povertà.

Inoltre, occupandosi solamente della prima fase della catena di approvvigionamento della materia prima, i coltivatori non hanno modo di apprezzare il valore della coltivazione del cacao e degli utilizzi che ne vengono fatti e hanno poco controllo su quanto il proprio prodotto viene venduto.

La nascita del commercio equo e solidale, primo fra tutti Fair trade© (1987), e tutte le altre certificazioni nate negli anni (Figura sotto) hanno aiutato i coltivatori come un giubbotto di salvataggio: il prezzo del cacao non può scendere al di sotto di un prezzo minimo concordato. Il problema di tale meccanismo è che quando il prezzo del cacao scende troppo, gli agricoltori per riuscire a vendere il loro prodotto si accontentano del prezzo minimo dato dalla certificazione.

Non bisogna dimenticare che il 70% del cacao nel mondo viene prodotto in piccole aziende agricole a conduzione familiare, dove gli agricoltori fanno affidamento su questo tipo di coltivazione per il 60–90% delle loro finanze. Infatti, la triste verità è che le certificazioni da sole non sono sufficienti per poter trasformare un’industria di scala globale e non tutti gli agricoltori sono in grado di vendere tutto il loro raccolto certificato: dei 2 milioni di tonnellate prodotte in Costa d’Avorio nel 2016 soltanto l’8% è stata prodotta e venduta secondo i termini della certificazione Fair Trade©.

3) Dal punto di vista ambientale: Se la situazione non dovesse cambiare, soprattutto dal punto di vista economico, è probabile che saranno molti gli agricoltori ad abbandonare la coltivazione del cacao e a spostarsi verso colture più redditizie come l’olio di Palma, aumentata di 68.000 km2 di superficie, a causa dei redditi troppo bassi, incrementando ancora di più il tasso di deforestazione già elevato a causa dell’aumento della domanda di cacao (nel West Africa la foresta primaria si era ridotta dall’inizio del nuovo millennio a 113.000 km2, pari al 18% della sua area originaria) e favorendo l’estensione di monocolture.

Altre criticità da affrontare, soprattutto in questi ultimi anni, sono i cambiamenti repentini delle condizioni metereologiche che mettono a dura prova la salute delle piantagioni più vecchie e robuste di cacao a causa di ingenti danni dovuti alla pioggia o alle malattie che hanno portato ad una grave moria di piante.

A peggiorare le cose, il terreno viene fertilizzato e trattato più del necessario per rendere ancora più produttive, ma anche più stressate anno dopo anno, le piantagioni rimanenti causando un irreparabile diminuzione di servizi ecosistemici ed biodiversità.

Per fortuna alcune fondazioni, come la World Cocoa Foundation (WCF, nata nel 2000), oltre a salvaguardare la sostenibilità sociale della filiera del cacao, riescono ad aiutare anche l’ambiente la cui missione è “promuovere un’economia sostenibile del cacao attraverso lo sviluppo economico e sociale e la gestione ambientale nelle comunità di coltivatori di cacao”.

Con l’aiuto della World Cocoa Foundation (WCF), questi sforzi si traducono in migliori mezzi di sussistenza a livello di azienda agricola, maggiori risorse e investimenti a livello nazionale e un ambiente più sicuro per i piccoli coltivatori che forniscono la maggior parte della produzione di cacao per i consumatori di tutto il mondo.

Come può quindi essere più sostenibile la coltivazione del cacao?

Qualsiasi azienda di cioccolato che stia attingendo dalla catena di approvvigionamento industriale esistente non risolverà purtroppo alcun problema. La struttura stessa della filiera mantiene gli agricoltori in condizioni di povertà costringendoli a tamponare le diverse situazioni sfavorevoli e portandoli a svendere le proprie produzioni, aggravando di conseguenza l’equilibrio chimico-fisico dei suoli e degli ecosistemi.

È difficile per chiunque guadagnarsi da vivere coltivando un prodotto di base su piccola scala ed è fisicamente impossibile se quella merce deve passare da quattro a dieci intermediari per estendersi dall’agricoltore, alla fabbrica fino al consumatore.

Tutte queste criticità rendono evidente la necessità di costruire una nuova filiera che si allontani da un modello industriale, creando una catena del valore. Tutti gli sforzi che non vanno in tale direzione sembrano essere solo una perdita di tempo e denaro per tutti gli stakeholders.

Un esempio di sostenibilità a protezione dell’intera filiera, visto anche il grande mercato sempre in espansione, viene direttamente dalla Commissione europea, tra cui il Green Deal. L’obiettivo stabilito è la promozione della tracciabilità delle materie prime, di pratiche commerciali responsabili in relazione al lavoro minorile, della protezione e ripristino delle foreste e dei redditi dignitosi per i coltivatori di cacao. Questo dialogo si basa sul processo avviato dalla Costa d’Avorio e dal Ghana nel giugno 2019 con l’obiettivo di aumentare il prezzo del cacao sul mercato mondiale. L’iniziativa dell’UE per il cacao sostenibile si basa sulla convinzione che “i prezzi e la sostenibilità sono le due facce della stessa medaglia”: a sostegno dell’iniziativa, l’Unione europea contribuirà con 25 milioni di euro per migliorare la sostenibilità economica, sociale e ambientale della produzione di cacao in Costa d’Avorio, Ghana e Camerun.

A livello più locale, sono oggi più numerose le realtà aziendali che si discostano dai circuiti di certificazione tradizionale (Fair trade, UTZ, Rain Forest Alliance, ecc.) per favorire collaborazioni dirette con i produttori. Questo non fa che creare collaborazioni stabili e a lungo termine con le comunità.

Attraverso questi accordi commerciali i piccoli imprenditori dell’industria della trasformazione possono così garantire non solo un prezzo adeguato e superiore a quello del mercato locale che permette alle comunità di investire sul proprio futuro, ma anche la promozione di un’agricoltura basata sulla diversificazione, capace quindi di creare un secondo reddito più stabile e maggiore ai contadini, valorizzando i terreni già disponibili senza dover ricorrere necessariamente alla deforestazione per estendere le pratiche agronomiche.

Inoltre, i primi processi di lavorazione delle fave di cacao avvengono in loco dopo la raccolta ed è anche utile per le aziende fornire corsi di training e formazione per supportare i contadini nelle varie fasi e processi determinando così la qualità del prodotto stesso.

Dal punto di vista ambientale, invece, i benefici più consistenti si hanno con le coltivazioni in Agriforest: un sistema di produzione agricolo basato sulla diversificazione dei raccolti che rappresenta un’alternativa ecologica rispetto alla monocoltura. Questo sistema assicura non solo una seconda entrata del reddito (senza le oscillazioni del mercato del cacao) ma abolisce anche l’abbattimento della foresta primaria favorendo la riforestazione attraverso il ripristino delle risorse naturali incrementando la biodiversità: la coltivazione in armonia con l’ecosistema del territorio funge da barriera protettiva delle foreste e previene l’impoverimento e la desertificazione dei suoli.

Parassiti, malattie e disordini civili restano minacce legittime all’offerta mondiale di cacao, ma sono stati compiuti notevoli progressi per riconoscere e sviluppare programmi e alleanze con enti locali per la tutela del patrimonio naturale rurale autoctono volti a sostenere gli aspetti economici, ambientali e sociali del cacao. Grazie alla cooperazione senza precedenti tra i diversi stakeholders, ora esistono programmi integrati e olistici per garantire una maggiore sostenibilità della filiera del cacao che ne valorizzano il suo potere come motore di sviluppo economico per gli agricoltori e le comunità agricole; un modello del genere può essere utilizzato sin da subito anche per altre colture arboree.

Si tratta di una corsa contro il tempo, rischiamo di perdere per la nostra ingordigia uno dei prodotti alimentari più universalmente conosciuti e apprezzati. È difficile pensare come i grandi colossi dell’industria di trasformazione del cacao possano da un momento all’altro trovarsi in ginocchio davanti alla poca disponibilità di una materia prima di così fondamentale importanza per le loro finanze e dovrebbero impegnarsi di più per trasmettere un po’ di dolcezza ad un mercato amaro come quello del cacao: con un’altra impennata di prezzi sul prodotto finito potremmo definire, in un futuro non tanto lontano, il cioccolato più come “cibo dei ricchi” che “cibo degli dei”.

“Abbiamo davanti a noi un tempo di nuove responsabilità e di impegni gravosi per ritrovare quella via maestra di più giusti e composti equilibri che la Storia ci impone. Sono convinto che riusciremo a farci interpreti di nuovi ideali di vita più degni del valore che l’Umanità si merita”.

Ermanno Olmi, Asolo 4 gennaio 2012.

Alessandro Lopa è laureato in Biologia e Biotecnologie vegetali alimentari e lavora come coordinatore della sostenibilità aziendale presso la Guido Gobino Srl, fabbrica di cioccolato. Interessato alle dinamiche sociali delle problematiche ambientali, ha frequentato il master MaSRA per approfondire le tematiche che gli stanno a cuore sotto nuovi punti di vista.

Bibliografia:

Gockowski J., Sonwa D., 2010. “Cocoa Intensification Scenarios and Their Predicted Impact on CO2 Emissions, Biodiversity Conservation, and Rural Livelihoods in the Guinea Rain Forest of West Africa”, Springer Science+Business Media.

Houston H., Wyer T., 2012. “Why Sustainable Cocoa Farming Matters for Rural Development”, CSIS (centre for strategic and international studies).

Ingram V., et al., 2018. “The Impacts of Cocoa Sustainability Initiatives in West Africa”, Sustainability (doi:10.3390).

Krauss J., 2017. “What is cocoa sustainability? Mapping stakeholders’ socio-economic, environmental, and commercial constellations of priorities”, Enterprise Development and Microfinance Vol. 28 №3.

Medina V., Laliberte B., 2017. “A review of research on the effects of drought and temperature stress and increased CO2 on Theobroma cacao L., and the role of genetic diversity to address climate change”, Bioversity International (ISBN: 978 92–9255–074–5).

Nargi L., 2020. “Can One Company Provide a Model for a More Just & Sustainable Cocoa Industry?”, Foodprint.

Shapiro HY., Rosenquist EM., 2004. “Public/private partnerships in agroforestry: the example of working together to improve cocoa sustainability”, Agroforestry Systems 61: 453–462, Kluwer Academic Publishers.

European Commision: Knowledge Centre for Global Food and Nutrition Security (www.ec.europa.eu)

Euromonitor International: consumi del cioccolato (www.euromonitor.com)

Organizzazione Internazionale del Cacao (ICCO): www.icco.org

World Cocoa Foundation (WCF): www.worldcocoafoundation.org

Guido Gobino Srl, fabbrica artigianale di cioccolato: www.guidogobino.it

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Master MaSRA
Domino Gazette

Master in Sostenibilità Socio-Ambientale delle Reti Agro-Alimentari dell’Università degli Studi di Torino